È vero, la storia di Trina e della sua famiglia è inventata, ma ci si trova comunque a partecipare al suo dolore mentre scrive un diario alla figlia che, con gli zii, ha abbandonato genitori e fratello per una vita più agiata in Germania.
Siamo nel Sudtirolo, in val Venosta, al tempo del fascismo, e Mussolini mette al bando la lingua tedesca, sconvolgendo la popolazione locale e stravolgendo i luoghi anche per l’imminente costruzione di una diga per la produzione di energia idroelettrica; questa costruzione verrà inizialmente sospesa, ma i lavori verranno ripresi e ultimati cinque anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, sommergendo i paesi di Resia e Curon, dove abitano Trina e i suoi.
Durante la guerra si vedranno Trina e il marito disertore fuggire dal paese, rifugiarsi sui monti di confino e tornare finalmente al paese, salvo poi vederlo scomparire, combattendo invano contro l’indifferenza dello stato e dei suoi interessi economici e politici.
Mi sarebbe piaciuto sapere di più su come si fossero sistemati la figlia e gli zii fuggitivi ed anche come fosse finita la sua amica Barbara… ma rimane comunque un ottimo romanzo.
Ma il passo che più mi ha stretto la gola per la commozione è la riflessione di Trina sulla morte del marito Erich, morto nel 1953: “…È morto nel sonno, come Pà. Il dottore ha detto che era malato di cuore, ma io so che è stata la stanchezza che ha preso il sopravvento. Si muore solo per la stanchezza. La stanchezza che ci danno gli altri, che ci diamo noi stessi, che ci danno le nostre idee. Non aveva più le sue bestie, il suo campo era stato sommerso, non era più un contadino, non abitava più il suo paese. Non era più niente di quello che voleva essere e la vita, quando non la riconosci, ti stanca in fretta. Non ti basta nemmeno Dio.”
Una storia complessa, piena di risvolti politici e sociali, raccontata con naturalezza e grazia nonostante la durezza degli eventi. Schiacciata tra nazisti e fascisti, oppressa dalla guerra, depauperata di tutto, perfino delle radici, una comunità lotta per sopravvivere fino a un desolante e inutile annientamento. Ben delineati i personaggi, rudi e combattivi perfino quando tutto è perduto, scolpiti nelle montagne come statue di pietra. Quando l'acqua sommerge tutto, il cuore della storia si ferma ma non la memoria di una comunità.
Un libro coraggioso, bello, illuminante.
Non l'avrei mai detto: stavolta la scelta del libro letto non è stata dettata dal titolo, o dalle note biografiche a cui do un'occhiata o dai giudizi positivi ma dall'immagine di copertina che, solitamente, non colpisce affatto la mia attenzione. In questo caso il campanile della val Venosta che campeggia, semisommerso dalle acque, immagine quasi poetica, ha catturato il mio sguardo. Non sapevo nulla di ciò che celava il campanile sommerso dall’acqua: la storia di Curon. Ma è anche la storia di Trina e della sua famiglia e la storia di una comunità, che dopo il fascismo ed il nazismo ha dovuto pure subire la prepotenza e l’abuso di potere da parte dello stato Italiano e delle sue aziende, dove in nome di un fantomatico progresso non ci si è fatto scrupolo di seppellire due paesi sott’acqua e di cancellare così una intera popolazione con i loro ricordi, la loro vita ed il loro vissuto.
Primo libro che leggo di Balzano, ma sicuramente non ultimo. Gran bel romanzo, ben scritto, ben documentato.
Dopo aver letto il libro, il pensiero di un selfie con il campanile mi appare veramente triste ed inopportuno.
Una storia che emoziona e fa riflettere. L’ho letto quasi tutto d’un fiato.
Consigliato.
Tutti, o quasi, conoscono l'immagine del lago da cui spunta il campanile, ma pochissimi conoscono la storia di Curon, di come un paesino dell'Alto Adige sia sparito sotto le acque senza lasciare traccia o quasi. Marco Balzano mi ha permesso di conoscerne le vicende e anche di più: mi ha dato una visione dei primi cinquant'anni del XX secolo in Alto Adige dal punto di vista degli abitanti di lingua tedesca. Era un aspetto che non avevo mai approfondito e che ho trovato molto interessante.
Credo che sia sempre importante guardare i diversi punti di vista su una questione. Ognuno di noi ha una visione estremamente limitata della realtà, in base alle proprie esperienze. Io non ho molto amore per le rivendicazioni di indipendenza dell'Alto Adige e ho sentito da molte voci la sofferenza di una regione spaccata in modo quasi irreparabile, in cui i parlanti italiano e i parlanti tedesco vivono vite parallele e indipendenti, detestandosi in modo più o meno manifesto. Questo libro però mi ha aiutato, sebbene in maniera romanzata, ad approfondire la questione, dandomi alcuni spunti di riflessione che mi sono rimasti in testa.
La storia è raccontata dalla voce di una donna nata e cresciuta a Curon e che ripercorre la propria giovinezza e la vita matura in una lunga lettera alla figlia. Si potrebbe dividere la narrazione in due parti: la prima dedicata al periodo del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, la seconda incentrata sulle battaglie per impedire la costruzione della diga che avrebbe, alla fine, sommerso Curon. Ho trovato la prima parte un po' più appassionante della seconda, forse. La voce narrante si fa un po' stanca, col passare degli anni. Va detto, poi, che la protagonista non è un personaggio particolarmente amabile, né brillante né emotivo, ma proprio per questo, forse, per tutti i difetti che ho percepito in lei, l'ho apprezzata come donna reale, donna di paese in una Val Venosta rinchiusa nei propri limiti. Lo stesso effetto mi hanno fatto gli altri personaggi in questo piccolo universo familiare: una costellazione di imperfezioni, di errori e limiti ma capaci anche di impacciati slanci d'affetto, persone vere, insomma, e non ritrattini di una rosea proiezione mentale.
Sebbene la "scusa" che l'autore crea per la narrazione (la lettera) a mio avviso non stia tanto in piedi, il romanzo è snello, scorrevole. Insomma, non è un capolavoro della letteratura italiana, probabilmente, ma mi è piaciuto e mi ha dato più di quanto mi aspettassi. Consigliato, quindi, per passare qualche ora catturati in un mondo che, purtroppo, non esiste più.
...ContinuaNon sai niente di me, eppure sai tanto perché sei mia figlia.
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