La storia tra il comico e il malinconico di un uomo che tenta di risollevarsi dall'ondata nera della fine della sua storia d'amore. Tanti flash di vita comune "acchiappati" con maestria, che strappano sorrisi, tra le sue 1000 emozioni e la sua contrarietà alle emozioni! Peccato che calchi un po' la mano sul suo tratto ironico-comico che a tratti però diventa un po' costruito.
...ContinuaPensavo di leggere una nuova storia del grande avvocato Malinconico e invece mi sono ritrovato in un libro di psicologia spiccia.
Non c'è nulla di triller forense, solo dei pensieri dati in bocca all'avvocato e sparsi qua e l'ha senza senso.
Non sono riuscito ad andare avanti, ho letto i primi 5 capitoli e poi l'ho abbandonato.
Ma perchè rovinare la figura di Malinconico, che pur meritava, in questo modo? Meglio forse inventarsi un altro personaggio e scrivere un libro totalmente diverso.
Dopo aver letto i primi due della serie (belli), sono rimasto deluso. Non è un romanzo, ma un'accozzaglia di scritti senza connessione. NO.
Così così. Non c'è storia, è solo un susseguirsi di pensieri sparsi, alle volte divertenti. Nel complesso, niente a che vedere con altri libri della serie dedicata a Vincenzo Malinconico.
Arrivati al terzo capitolo la forma comincia, almeno per me, ad accusare una certa stanchezza. La trama, in questo caso molto esile, su cui si vanno ad appoggiare tutte le riflessioni estemporanee dell'avvocato Malinconico, questa volta non è più una simpatica storia forense, ma un tentativo - tragicomico - di fare una sorta di psicoterapia, malriuscito perché il protagonista non si fida dello psicoterapeuta e quindi gli nasconde le cose e ci entra in conflitto senza rendersi conto che in realtà il problema ce l'ha con se stesso.
Quello che emerge da questo terzo romanzo è che l'autore, più che alla storia in sé, sembra interessato alla lunga serie di riflessioni senza capo né coda che l'avvocato fa, concentrandosi in questo volume essenzialmente sulle canzoni, tanto che alla fine ci ritroviamo con una playlist 'malinconica'. Che dire, qualcosa di interessante ce l'ho comunque trovato: "Da un po', passeggiare per il lungomare della mia città (quello dove la domenica mattina presto corrono gli illusi) costeggiando la quasi totalità delle sue palme mozzate, sottoposte ad amputazioni d'urgenza nell'estremo tentativo di salvare il residuo di vita che ancora le sostiene prima che il parassita che le divora dall'interno completi la strage, è diventata una pratica malinconica. un po' come attraversare un ospedale da campo in una zona di guerra. Quando la recisione di un altro albero malato apre una nuova finestra sul mare, quest'ulteriore spalancamento visuale (che è, al tempo stesso, pienezza e dispersione dello sguardo) produce tristezza in luogo di piacere. Vorresti non vederlo, quel mare in più. Quella dilatazione dell'orizzonte. Quello spazio improvvisamente libero, che nella sua sconfinata bellezza costituisce la prova sensibile di una morte in corso. Di una scomparsa che procede per sottrazioni progressive, nella consapevolezza dell'irreversibilità di quel disgraziato processo. Allora, com'è inevitabile che vada, pensi alle tue mancanze. Alle amputazioni che hai dovuto eseguire e subire. A come si sta modificando il tuo personale paesaggio. E ti si restringe, si svilisce il senso della prosecuzione delle cose e della libertà, quasi non la volessi, non sapessi cosa fartene."